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Elettronica ed elettrotecnica in crisi: si pagano le difficoltà del sistema Paese

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20 AGOSTO 2008

Il 2007 è stato un anno amaro per i settori dell'elettrotecnica e dell'elettronica italiana. La flessione del 7,6% su base annua dà l'idea di un comparto che soffre molto più della media dell'intero mondo manifatturiero del Bel Paese (sceso comunque dello 0,2%) e che non riesce a trovare la strada maestra per risollevarsi. Pagando dazio in fatto di gap rispetto ai principali competitor europei.
Il quadro presentato giusto un mese fa nel corso dell'Assemblea annuale di Anie (la Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche aderente a Confindustria) non può non far scattare il classico campanello d'allarme. Anche perché le avvisaglie per l'anno in corso non sono delle più rosee, considerato che il primo quadrimestre 2008 si è chiuso con una crescita del volume d'affari dello 0,8% rispetto al corrispondente periodo del 2007.
Spulciando i dati resi noti da Anie, emerge che il fatturato aggregato del settore è sì cresciuto del 5,3% (in frenata dall'anno precedente) ma ciò che preoccupa maggiormente sono i dati che riflettono la caduta dei volumi di produzione industriale nel 2007: -4,6% per l'elettrotecnica e addirittura -11,4% per l'elettronica. Quest'ultimo segmento, nonostante la corsa all'acquisto del gadget hi-tech di ultima generazione pare non fermarsi mai, ha sofferto sia sul fronte dei componenti (-3,2%) che su quello dei dispositivi consumer (-7,3%) e solo la categoria "apparati e sistemi per comunicazioni" (in salita dell'8,4%) ha evitato andamenti al ribasso ancora più marcati. Il made in Italy dell'elettronica, un tempo forte della produzione a volumi di Tv a cinescopio, perde colpi anche sui mercati esteri e a dimostrarlo è il calo del 3,2% nel consuntivo 2007 dell'export (che invece è positivo, 5,3%, per l'elettrotecnica).
Per Guidalberto Guidi, Presidente di Federazione Anie, la causa di tale situazione è evidente: il ritardo negli investimenti in infrastrutture di rete e tecnologiche. "Il fatturato delle nostre imprese – ha detto in occasione dell'Assemblea sopracitata - dovrebbe crescere mediamente del 4% annuo solo per finanziare l'innovazione tecnologica". Il che significa essere più competitivi e da subito, perché il ritardo strutturale è costato negli ultimi dieci anni alla nostra industria svariati miliardi di euro di perdita di fatturato e un vistoso calo occupazionale. La scarsa velocità a cui corre il sistema Paese nel cercare di fare e produrre innovazione torna quindi sul banco degli imputati. Il fatto che in Lombardia si sia registrato – i numeri sono delle Camere di Commercio - il più elevato saldo netto negativo (1.060 aziende) fra iscrizioni e cancellazioni di imprese nei comparti dell'elettrotecnica e dell'elettronica nel periodo 2001-2007 (il bilancio globale è in rosso di 2.580 unità) può voler dire due cose. La curva discendente del boom economico degli anni '80 non è stata interpretata e percepita in tempo e a dover dalla classe imprenditoriale o il sistema (gli organi competenti, la classe politica, il mondo bancario) ha lasciato che decine di grandi imprese e migliaia di piccole aziende artigiane terziste potessero finire miseramente fuori mercato e in fallimento.
D'accordo, come ha rimarcato anche Guidi, che molte imprese hanno intrapreso radicali politiche di ristrutturazione per reggere il confronto sui mercati internazionali e che cresce la proiezione internazionale e la specializzazione in prodotti di più elevata qualità destinati a nicchie del mercato mondiale, ma pensare a una vigorosa inversione di tendenza nel breve termine sembra utopistico. È giusto sottolineare il fatto che il 40% della spesa industriale in ricerca è realizzato in Italia dall'industria elettrotecnica ed elettronica ma è altrettanto doveroso ricordare come proprio in questo settore si siano registrate le note più dolenti. Quando l'Olivetti era ancora un nome nei personal computer (metà anni '90) a Scarmagno si inauguravano avveniristiche sale per i test dei server e l'indotto del canavese reggeva ancora bene il vento della crisi. Poi i monitor e i pc "made in Ivrea" sono spariti, come la maggior parte delle fabbriche dove si producevano oltre il 70% dei circa 2,5 milioni di televisori che si vendevano in Italia in quegli anni. (G.Rus.)

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